Cosa visitare
CHIESE
La CHIESA DI SAN LORENZO MARTIRE è situata nel centro storico del Paese. È a pianta rettangolare, ad una sola navata, con facciata classica e portale in stile quattrocentesco; il campanile quadrangolare racchiude una pregevole gradinata a chiocciola, autentico piccolo capolavoro in pietra locale. Il suo interno è di stile barocco moderno, con semicolonne rettangolari, capitelli, rosoni e stucchi.
La CHIESA DELLA MADONNA DELL’ELCINA sorge su una collina rocciosa a breve distanza dal centro storico del Paese. La chiesa, nella sua fattezza attuale, in pietra locale, è di recente costruzione (fu ricostruita ed ampliata su quella antica nel 1927), ma di antica fondazione e riveste un notevole valore storico-artistico-religioso per tutta la vallata. Nel Santuario, entro una particolare edicola, è collocata la statua della Madonna dell’Elcina in terracotta tinteggiata, datata a cavallo dei secoli XV/XVI; sotto l’altare è posto un tronco di elce che si addita come un resto dell’antico albero sul quale apparve la Vergine, mentre presso l’altare, sul lato sinistro, vi è un quadro dipinto ad olio su tela rappresentante la Madonna che, in tunica rossa e manto azzurro, seduta su di un albero, sostiene fra le braccia il Bambino ignudo e benedicente. Il quadro può riferirsi al secolo XVII e fu rinvenuto dietro la statua della Madonna durante il restauro della chiesa nel 1927. Nonostante l’incongruenza cronologica, il popolo ritiene che sia il quadro trovato dai pastorelli e dagli Abbateggiani al tempo dell’apparizione della Vergine.
La tradizione vuole che un giorno due pastorelli muti di Abbateggio, pascolando le pecore sulla collina dell’Elcina, videro su di un albero di elce (leccio) una Signora e, ai piedi dell’albero, un quadro che rappresentava la Madonna seduta su un albero con in braccio Gesù Bambino. La Signora disse ai pastorelli di desiderare una Chiesa su quel colle, ripetendo per tre volte la medesima richiesta. Alla terza volta i pastorelli corsero verso casa raccontando alla loro madre il fatto prodigioso. La madre fu lieta e sorpresa nel sentir parlare per la prima volta i propri figlioli, gridando al miracolo e diffondendo la novella al vicinato. Sul luogo dell’apparizione corse gente ed i pastorelli narrarono ancora quanto veduto e quanto richiesto dalla Signora. - Una Signora? dunque, la Madonna - e a torme la gente seguì i pastorelli sino all’albero, ove ancora sedeva la Signora e dove ancora era il quadro della Madonna. Mentre i pastorelli estasiati continuavano a vedere la Madonna sull’albero, la folla vedeva solo il quadro. La sacra immagine fu presa dalla folla di fedeli e devotamente portata nella Chiesa parrocchiale di San Lorenzo Martire, ma la mattina seguente fu ritrovata miracolosamente presso l’albero. Riportata nella Chiesa, fu di nuovo rinvenuta presso l’albero. Dopo la terza traslazione e il terzo rinvenimento presso il solito albero, si compresero le intenzioni della Madonna: presso l’albero le fu costruita una piccola Chiesa, che è quella della Madonna dell’Elcina.
La CHIESA dedicata alla MADONNA DEL CARMINE è di piccola fattura, in pietra locale, a pianta rettangolare ad una sola navata con volta a botte e calotta dell’abside a semicupola; è stata totalmente ristrutturata. Se ne ignora l’anno di costruzione, ma si è a conoscenza che nel 1743 esisteva già ed era censita come “Chiesa della M. del Carmine extra moenia”, cioè sita fuori le mura di cinta del Paese. Sul portale esterno della Chiesa vi è l’iscrizione “Sant’Antonio”. Non è chiaro se la Chiesa inizialmente fosse stata edificata in onore di Sant’Antonio (Abate o di Padova), visto che ne esiste il culto, e successivamente, con la diffusione in Abruzzo delle congreghe carmelitane, dedicata alla Madonna.
L’EDICOLA VOTIVA DEDICATA A SAN BIAGIO nella contrada San Martino è caratterizzata da una nicchia contenente, sopra l’altare, il busto, autentico e antico, del Santo. L’edificio è stato ristrutturato l’ultima volta nell’anno 1986.
La CHIESA DELLA MADONNA DELL’ELCINA sorge su una collina rocciosa a breve distanza dal centro storico del Paese. La chiesa, nella sua fattezza attuale, in pietra locale, è di recente costruzione (fu ricostruita ed ampliata su quella antica nel 1927), ma di antica fondazione e riveste un notevole valore storico-artistico-religioso per tutta la vallata. Nel Santuario, entro una particolare edicola, è collocata la statua della Madonna dell’Elcina in terracotta tinteggiata, datata a cavallo dei secoli XV/XVI; sotto l’altare è posto un tronco di elce che si addita come un resto dell’antico albero sul quale apparve la Vergine, mentre presso l’altare, sul lato sinistro, vi è un quadro dipinto ad olio su tela rappresentante la Madonna che, in tunica rossa e manto azzurro, seduta su di un albero, sostiene fra le braccia il Bambino ignudo e benedicente. Il quadro può riferirsi al secolo XVII e fu rinvenuto dietro la statua della Madonna durante il restauro della chiesa nel 1927. Nonostante l’incongruenza cronologica, il popolo ritiene che sia il quadro trovato dai pastorelli e dagli Abbateggiani al tempo dell’apparizione della Vergine.
La tradizione vuole che un giorno due pastorelli muti di Abbateggio, pascolando le pecore sulla collina dell’Elcina, videro su di un albero di elce (leccio) una Signora e, ai piedi dell’albero, un quadro che rappresentava la Madonna seduta su un albero con in braccio Gesù Bambino. La Signora disse ai pastorelli di desiderare una Chiesa su quel colle, ripetendo per tre volte la medesima richiesta. Alla terza volta i pastorelli corsero verso casa raccontando alla loro madre il fatto prodigioso. La madre fu lieta e sorpresa nel sentir parlare per la prima volta i propri figlioli, gridando al miracolo e diffondendo la novella al vicinato. Sul luogo dell’apparizione corse gente ed i pastorelli narrarono ancora quanto veduto e quanto richiesto dalla Signora. - Una Signora? dunque, la Madonna - e a torme la gente seguì i pastorelli sino all’albero, ove ancora sedeva la Signora e dove ancora era il quadro della Madonna. Mentre i pastorelli estasiati continuavano a vedere la Madonna sull’albero, la folla vedeva solo il quadro. La sacra immagine fu presa dalla folla di fedeli e devotamente portata nella Chiesa parrocchiale di San Lorenzo Martire, ma la mattina seguente fu ritrovata miracolosamente presso l’albero. Riportata nella Chiesa, fu di nuovo rinvenuta presso l’albero. Dopo la terza traslazione e il terzo rinvenimento presso il solito albero, si compresero le intenzioni della Madonna: presso l’albero le fu costruita una piccola Chiesa, che è quella della Madonna dell’Elcina.
La CHIESA dedicata alla MADONNA DEL CARMINE è di piccola fattura, in pietra locale, a pianta rettangolare ad una sola navata con volta a botte e calotta dell’abside a semicupola; è stata totalmente ristrutturata. Se ne ignora l’anno di costruzione, ma si è a conoscenza che nel 1743 esisteva già ed era censita come “Chiesa della M. del Carmine extra moenia”, cioè sita fuori le mura di cinta del Paese. Sul portale esterno della Chiesa vi è l’iscrizione “Sant’Antonio”. Non è chiaro se la Chiesa inizialmente fosse stata edificata in onore di Sant’Antonio (Abate o di Padova), visto che ne esiste il culto, e successivamente, con la diffusione in Abruzzo delle congreghe carmelitane, dedicata alla Madonna.
L’EDICOLA VOTIVA DEDICATA A SAN BIAGIO nella contrada San Martino è caratterizzata da una nicchia contenente, sopra l’altare, il busto, autentico e antico, del Santo. L’edificio è stato ristrutturato l’ultima volta nell’anno 1986.
Chiesa di San Lorenzo martire
ARCHEOLOGIA
SITO PALEOLITICO DI VALLE GIUMENTINA
L'importante sito di Valle Giumentina rappresenta una delle principali testimonianze del Paleolitico inferiore e medio in Abruzzo. C. Bianchini e G. Bonarelli fin dal secolo scorso vi segnalarono la raccolta in superficie di importanti reperti; si deve all'opera del prof. A. M. Radmilli dell'Università di Pisa lo scavo sistematico del giacimento negli anni 1954-55. Gli studi di carattere geologico hanno messo in luce che per lungo tempo sull'alveo abbandonato dell'originaria valle fluviale Orta-Orfento persisteva uno specchio lacustre che, dopo fasi di maggiore e minore estensione, si è definitivamente prosciugato circa 40.000 anni fa.
La stratigrafia del luogo è costituita da formazioni alluvionali e lacustri, i cui sedimenti attestano l'evoluzione climatica e morfologica del versante settentrionale della Majella degli ultimi 500.000 anni. Attorno al lago stanziarono per un ampio intervallo di tempo gruppi umani del Paleolitico. Gli scavi eseguiti da Radmilli hanno messo in evidenza nei livelli bassi e medi della sequenza lacustre industrie del Paleolitico inferiore di tecnica clactoniana (soprattutto raschiatoi, punte e schegge), mentre alcuni reperti più antichi sono stati rinvenuti solo di recente e in giacitura secondaria nelle ghiaie di base. In sequenza sopra gli strati con industrie clactoniane vi sono strati con piccoli bifacciali, cui seguono strati ancora con industrie clactoniane (raschiatoi e schegge con incavi); infine i livelli sommitali, formatisi quando il lago era ormai prosciugato, hanno restituito industrie del Paleolitico medio musteriane e scarsi strumenti del Paleolitico superiore. I gruppi umani, che con gli oggetti litici hanno lasciato traccia delle loro diverse tecnologie e culture, hanno frequentato le sponde del lago prima e durante la penultima glaciazione (Riss), durante l'ultimo interglaciale (Eemiano) ed il primo stadio dell'ultima glaciazione (Würm) in un arco cronologico che va da circa 500.000 a 40.000 anni da oggi. In questo esteso periodo di tempo l'uomo ha dovuto più volte trovare nuovi equilibri con la vegetazione, la fauna e le forme del paesaggio in conseguenza delle diverse condizioni climatiche che alternavano periodi freddi ed aridi a periodi caldi. La selce che veniva lavorata si rinviene abbondante negli affioramenti rocciosi della Majella settentrionale, ma di volta in volta ciascun gruppo umano ha scelto ed utilizzato solamente alcuni tipi. Gli scarsi resti di fauna rinvenuti negli scavi attestano la caccia alla grande selvaggina, quale l'orso ed il cervo. La Valle Giumentina fu abitata sin dal Paleolitico, come testimoniato da interessanti ritrovamenti di manufatti derivanti dalla lavorazione di ciottoli. La particolarità di questa lavorazione e l'abbondanza di reperti hanno fatto di questo sito uno dei più importanti in Abruzzo per lo studio della paletnologia, tanto che la fase più recente dell'industria clactoniana (selci lavorate a percussione su incudine, con piano di percussione inclinato rispetto a quello di distacco) viene definita appunto facies di Valle Giumentina.
Nel settembre 2012, sessant’anni dopo gli scavi del prof. Radmilli, una squadra multidisciplinare composta da archeologi (specialisti del Paleolitico), da geologi e paleontologi ha ripreso le ricerche per ricostruire la presenza dell’uomo durante gli ultimi 300.000 anni. Il lavoro sul campo vede coinvolte una decina di ricercatori e produrrà una grande quantità di reperti archeologici e di dati paleoambientali che saranno oggetto di lunghi studi e approfondite analisi specialistiche di laboratorio.
ECOMUSEO DEL PALEOLITICO – VALLE GIUMENTINA
L’8 giugno 2013 è stato inaugurato l’Ecomuseo del Paleolitico nella Valle Giumentina.
L’Ecomuseo, posto di fronte all’omonimo e noto giacimento preistorico del paleolitico, si propone come sistema integrato per la valorizzazione delle principali valenze della Majella settentrionale.
Attraverso la riproposizione di sei capanne in pietra a secco, architetture povere tipiche dell’ambiente agro-pastorale abruzzese, il pubblico viene guidato in un percorso didattico e conoscitivo, alla lettura del paesaggio naturale, archeologico e storico derivato da un affascinante e secolare rapporto tra uomo e ambiente.
Nelle capanne sono illustrate, mediante pannelli, le tematiche inerenti le testimonianze ed attività dell’uomo di Neandertal a Valle Giumentina, il contesto archeologico dalla Protostoria al Medioevo nel territorio di Abbateggio, le funzioni e geometrie delle strutture in pietra a secco, insieme alla dura vita dei pastori transumanti, ed ancora i caratteri della flora e della fauna. All’esterno, con uno sguardo al giacimento paleolitico, si apprende la storia geologica di Valle Giumentina e i processi che hanno governato l’evoluzione morfologica della Majella, insieme alle trasformazioni del paesaggio naturale operate dall’uomo. Lo spazio museale è arricchito da una particolare area didattica: un laboratorio open air di archeologia sperimentale per apprendere metodi e modi di scheggiatura della selce. Fa parte dell’Ecomuseo anche una capanna destinata all’accoglienza e all’informazione sulle attività di scavo e ricerca.
Website: http://www.ecomuseodelpaleolitico.it/
SANTUARIO DI ERCOLE IN LOCALITA’ COLLE DI GOTTE-BIVIO DI ABBATEGGIO
In contrada Colle di Gotte quasi al cosiddetto bivio di Abbateggio con la strada statale che sale a Caramanico, nel 2008 sono venuti alla luce i resti di un ampio complesso santuariale, risalente nelle sue prime fasi al II-I secolo a.C., con murature in pietrame quasi privo di legante e pavimentazione del primo ambiente sinora individuato in opera spicata, nei cui pressi era un pozzo con cisterna sotterranea, parte dei materiali costruttivi al cui imbocco risultano essere antichi, o in giacitura primaria o di reimpiego. Dai primi scavi si è rinvenuto in particolare un frammento di statua di grande importanza, la parte inferiore del busto di una statua in pietra calcarea, con attacco delle gambe e testina di figura di minore rango visibile fra le gambe, nonché parte di una mano con ben evidenti sei dita, particolare che consente di riconoscere nella figura principale il dio Ercole.
CHIESA ALTOMEDIEVALE E MEDIEVALE DI S. AGATA
Il complesso archeologico monumentale in contrada Sant’Agata appare legato alla presenza di una piccola chiesa altomedievale e medievale di cui è stato riscoperto l’altare votivo al quale le donne si recavano per propiziarsi la fecondità e l’abbondanza di latte aspergendosi i seni con acqua attinta dalla sua fonte, con un rito evidentemente collegabile ad antichissime tradizioni di origine italico - romana riferibili alla divinità femminile italica della fecondità, nota talora come Feronia, Angitia o Cerere. Il sito di Sant’Agata rappresenta uno dei capisaldi storico-topografici della presenza dell’uomo in questo territorio. Gli scavi hanno rimesso in luce i resti della chiesa, nelle cui strutture risultano rimessi in opera i resti di un preesistente edificio monumentale antico.
Il luogo di culto andò progressivamente in abbandono a partire dal XV-XVI secolo, tanto che la Visita Pastorale dell’anno 1629 della Diocesi di Chieti la menziona ormai come “destructa”, ossia in rovina; il culto era tuttavia così sentito fra la gente di Abbateggio e dell’intera Majella, che continuò a svolgersi ancora per secoli, come testimonia l’altra Visita Pastorale dell’anno 1839 nel ricordare che “lo stesso rudere è ancora oggi venerato”, ricordando ancora la presenza dell’altare e lo zelo con cui veniva curato.
L'importante sito di Valle Giumentina rappresenta una delle principali testimonianze del Paleolitico inferiore e medio in Abruzzo. C. Bianchini e G. Bonarelli fin dal secolo scorso vi segnalarono la raccolta in superficie di importanti reperti; si deve all'opera del prof. A. M. Radmilli dell'Università di Pisa lo scavo sistematico del giacimento negli anni 1954-55. Gli studi di carattere geologico hanno messo in luce che per lungo tempo sull'alveo abbandonato dell'originaria valle fluviale Orta-Orfento persisteva uno specchio lacustre che, dopo fasi di maggiore e minore estensione, si è definitivamente prosciugato circa 40.000 anni fa.
La stratigrafia del luogo è costituita da formazioni alluvionali e lacustri, i cui sedimenti attestano l'evoluzione climatica e morfologica del versante settentrionale della Majella degli ultimi 500.000 anni. Attorno al lago stanziarono per un ampio intervallo di tempo gruppi umani del Paleolitico. Gli scavi eseguiti da Radmilli hanno messo in evidenza nei livelli bassi e medi della sequenza lacustre industrie del Paleolitico inferiore di tecnica clactoniana (soprattutto raschiatoi, punte e schegge), mentre alcuni reperti più antichi sono stati rinvenuti solo di recente e in giacitura secondaria nelle ghiaie di base. In sequenza sopra gli strati con industrie clactoniane vi sono strati con piccoli bifacciali, cui seguono strati ancora con industrie clactoniane (raschiatoi e schegge con incavi); infine i livelli sommitali, formatisi quando il lago era ormai prosciugato, hanno restituito industrie del Paleolitico medio musteriane e scarsi strumenti del Paleolitico superiore. I gruppi umani, che con gli oggetti litici hanno lasciato traccia delle loro diverse tecnologie e culture, hanno frequentato le sponde del lago prima e durante la penultima glaciazione (Riss), durante l'ultimo interglaciale (Eemiano) ed il primo stadio dell'ultima glaciazione (Würm) in un arco cronologico che va da circa 500.000 a 40.000 anni da oggi. In questo esteso periodo di tempo l'uomo ha dovuto più volte trovare nuovi equilibri con la vegetazione, la fauna e le forme del paesaggio in conseguenza delle diverse condizioni climatiche che alternavano periodi freddi ed aridi a periodi caldi. La selce che veniva lavorata si rinviene abbondante negli affioramenti rocciosi della Majella settentrionale, ma di volta in volta ciascun gruppo umano ha scelto ed utilizzato solamente alcuni tipi. Gli scarsi resti di fauna rinvenuti negli scavi attestano la caccia alla grande selvaggina, quale l'orso ed il cervo. La Valle Giumentina fu abitata sin dal Paleolitico, come testimoniato da interessanti ritrovamenti di manufatti derivanti dalla lavorazione di ciottoli. La particolarità di questa lavorazione e l'abbondanza di reperti hanno fatto di questo sito uno dei più importanti in Abruzzo per lo studio della paletnologia, tanto che la fase più recente dell'industria clactoniana (selci lavorate a percussione su incudine, con piano di percussione inclinato rispetto a quello di distacco) viene definita appunto facies di Valle Giumentina.
Nel settembre 2012, sessant’anni dopo gli scavi del prof. Radmilli, una squadra multidisciplinare composta da archeologi (specialisti del Paleolitico), da geologi e paleontologi ha ripreso le ricerche per ricostruire la presenza dell’uomo durante gli ultimi 300.000 anni. Il lavoro sul campo vede coinvolte una decina di ricercatori e produrrà una grande quantità di reperti archeologici e di dati paleoambientali che saranno oggetto di lunghi studi e approfondite analisi specialistiche di laboratorio.
ECOMUSEO DEL PALEOLITICO – VALLE GIUMENTINA
L’8 giugno 2013 è stato inaugurato l’Ecomuseo del Paleolitico nella Valle Giumentina.
L’Ecomuseo, posto di fronte all’omonimo e noto giacimento preistorico del paleolitico, si propone come sistema integrato per la valorizzazione delle principali valenze della Majella settentrionale.
Attraverso la riproposizione di sei capanne in pietra a secco, architetture povere tipiche dell’ambiente agro-pastorale abruzzese, il pubblico viene guidato in un percorso didattico e conoscitivo, alla lettura del paesaggio naturale, archeologico e storico derivato da un affascinante e secolare rapporto tra uomo e ambiente.
Nelle capanne sono illustrate, mediante pannelli, le tematiche inerenti le testimonianze ed attività dell’uomo di Neandertal a Valle Giumentina, il contesto archeologico dalla Protostoria al Medioevo nel territorio di Abbateggio, le funzioni e geometrie delle strutture in pietra a secco, insieme alla dura vita dei pastori transumanti, ed ancora i caratteri della flora e della fauna. All’esterno, con uno sguardo al giacimento paleolitico, si apprende la storia geologica di Valle Giumentina e i processi che hanno governato l’evoluzione morfologica della Majella, insieme alle trasformazioni del paesaggio naturale operate dall’uomo. Lo spazio museale è arricchito da una particolare area didattica: un laboratorio open air di archeologia sperimentale per apprendere metodi e modi di scheggiatura della selce. Fa parte dell’Ecomuseo anche una capanna destinata all’accoglienza e all’informazione sulle attività di scavo e ricerca.
Website: http://www.ecomuseodelpaleolitico.it/
SANTUARIO DI ERCOLE IN LOCALITA’ COLLE DI GOTTE-BIVIO DI ABBATEGGIO
In contrada Colle di Gotte quasi al cosiddetto bivio di Abbateggio con la strada statale che sale a Caramanico, nel 2008 sono venuti alla luce i resti di un ampio complesso santuariale, risalente nelle sue prime fasi al II-I secolo a.C., con murature in pietrame quasi privo di legante e pavimentazione del primo ambiente sinora individuato in opera spicata, nei cui pressi era un pozzo con cisterna sotterranea, parte dei materiali costruttivi al cui imbocco risultano essere antichi, o in giacitura primaria o di reimpiego. Dai primi scavi si è rinvenuto in particolare un frammento di statua di grande importanza, la parte inferiore del busto di una statua in pietra calcarea, con attacco delle gambe e testina di figura di minore rango visibile fra le gambe, nonché parte di una mano con ben evidenti sei dita, particolare che consente di riconoscere nella figura principale il dio Ercole.
CHIESA ALTOMEDIEVALE E MEDIEVALE DI S. AGATA
Il complesso archeologico monumentale in contrada Sant’Agata appare legato alla presenza di una piccola chiesa altomedievale e medievale di cui è stato riscoperto l’altare votivo al quale le donne si recavano per propiziarsi la fecondità e l’abbondanza di latte aspergendosi i seni con acqua attinta dalla sua fonte, con un rito evidentemente collegabile ad antichissime tradizioni di origine italico - romana riferibili alla divinità femminile italica della fecondità, nota talora come Feronia, Angitia o Cerere. Il sito di Sant’Agata rappresenta uno dei capisaldi storico-topografici della presenza dell’uomo in questo territorio. Gli scavi hanno rimesso in luce i resti della chiesa, nelle cui strutture risultano rimessi in opera i resti di un preesistente edificio monumentale antico.
Il luogo di culto andò progressivamente in abbandono a partire dal XV-XVI secolo, tanto che la Visita Pastorale dell’anno 1629 della Diocesi di Chieti la menziona ormai come “destructa”, ossia in rovina; il culto era tuttavia così sentito fra la gente di Abbateggio e dell’intera Majella, che continuò a svolgersi ancora per secoli, come testimonia l’altra Visita Pastorale dell’anno 1839 nel ricordare che “lo stesso rudere è ancora oggi venerato”, ricordando ancora la presenza dell’altare e lo zelo con cui veniva curato.
CAPANNE A THOLOS
Sono strutture in pietra a secco costruite da pastori e contadini come ripari; la loro forma ricorda i trulli pugliesi ed i nuraghe sardi e sono chiamati in dialetto “pajare”, tipici della Majella nord - orientale. Sono capanne realizzate utilizzando l’abbondante materiale lapideo disponibile posto in opera a secco a realizzare ambienti a pianta circolare, quadrata o rettangolare; per la copertura veniva adottata la tecnica della falsa cupola, sovrapponendo cioè cerchi di pietre leggermente aggettanti verso l’interno sino a chiudere completamente la luce. I complessi più interessanti si possono osservare nella Valle Giumentina, qui si può ammirare un gruppo di capanne a tholos, notevoli per fattura e dimensioni. L'edificio principale del gruppo è il più grande dei circa cinquecento esemplari di questo tipo sparsi nella zona, ed è l'unico a due piani.
Sono presenti altri edifici minori a formare un piccolo nucleo abitativo e si individuano chiaramente abbondanti resti dei muri che anticamente circondavano gli stazzi.
Altri complessi si trovano nel territorio di Roccamorice, in particolare sono da menzionare i tholos di La Valletta e di Colle della Civita.
Sono presenti altri edifici minori a formare un piccolo nucleo abitativo e si individuano chiaramente abbondanti resti dei muri che anticamente circondavano gli stazzi.
Altri complessi si trovano nel territorio di Roccamorice, in particolare sono da menzionare i tholos di La Valletta e di Colle della Civita.